Al Teatro Argentina l’ultimo lavoro di Peter Brook “Ta main dans la bienne” dal 21 aprile al 9 maggio. La presenza a Roma di questo personaggio, considerato come uno dei massimi registi e teorici del teatro del Novecento, si arricchirà inoltre di un evento speciale: dal 5 all’8 maggio andrà in scena “La mort de krishna”.
Grande ritorno di Peter Brook al Teatro Argentina di Roma: da mercoledì 21 Aprile fino a domenica 9 Maggio, andrà in scena “Ta main dans la bienne” tratto dalla corrispondenza tra l’attrice Olga Knipper e Anton Čechov. Lo spettacolo ha debuttato in forma di lettura scenica al Teatro Micalet di Valencia il 25 giugno scorso. Attraverso la piece che Carole Rocamora ha tratto da un carteggio di oltre 400 lettere, prende corpo la passione che “in sei brevi anni” unì Čechov alla brillante attrice allieva di Stanislavskij. Un amore per lo più vissuto a distanza, per la malattia di lui che lo portava spesso fuori, a Jalta o in campagna, e la professione di lei, che recitava a Pietroburgo, a Mosca. Nel tessuto del discorso amoroso si inscrivono trame diverse: l’ansia del “nuovo” dettata da un Novecento appena nato, la vitalità della scena russa, l’intimità cui conduce la vita teatrale. La scena è essenziale: una pedana quadrata coperta da un tappeto, un tavolo e qualche sedia; ridotti al minimo gli effetti sonori. Intenso il contributo degli attori Michel Piccoli e Natasha Parry.
La presenza di Brook a Roma sarà arricchita da un secondo spettacolo, “La mort de Krishna”, mise en espace firmata dal regista anglo-francese, andata in scena per la prima volta alle Bouffes du Nord nel Gennaio 2003. “La mort de Krishna” può essere definita un “frammento”, una sintesi dell’epico, memorabile “Mahabharata”, presentato al Festival di Avignone nel 1985. Krishna, con la sua duplice natura umana e divina, trova una nuova incarnazione scenica grazie a Mauriche Bénichou, sin dall’esordio straordinario interprete del testo firmato da Jean-Claude Carrière e Marie-Hélène Estienne.
Lo spettacolo racconta la morte di Krishna con l’estrema semplicità e rarefazione dei segni teatrali che contraddistinguono l’estetica di Brook. Un tappeto, due paraventi, candelabri, pochi oggetti significanti sono sufficienti a Bénichou per rievocare frammenti di un’epopea mitica ricca e composita, mentre racconta di guerra e di pace, di sete e di deserto, d’amore e di massacri, fino alla “socratica accettazione di una morte fortuita, perché il Tempo ha stabilito un limite”. A fare da eco sonora alle gesta di Krishna, le musiche composte da Antonin Stahly.
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